Nuovi sguardi su René Magritte. La mostra a Madrid
La pittura di Giorgio Morandi
Per René Magritte (Lessines, 1898 ‒ Bruxelles, 1967) i quadri erano pensieri visibili e la pittura un mezzo per penetrare il mistero della realtà. Se il pittore belga fu un artista enigmatico per la società del suo tempo, oggi più che mai la sua estetica ambigua, misteriosa e spesso ironica affascina un pubblico vasto ed eterogeneo.
A oltre trent’anni dall’ultima retrospettiva a Madrid, il Museo Nazionale Thyssen-Bornemisza celebra il pittore surrealista con una grande mostra. La macchina Magritte è il progetto curato da Guillermo Solana, direttore del museo madrileno, che raccoglie un centinaio di opere provenienti da istituzioni pubbliche, gallerie e collezioni private di tutto il mondo, in collaborazione con la Fondazione Magritte di Bruxelles. Prevista per il 2020 e posticipata di un anno a causa della pandemia, dopo Madrid la mostra raggiungerà il Caixaforum di Barcellona (dal 25 febbraio al 5 giugno 2022).
CHI ERA RENÉ MAGRITTE
René Magritte nasce nella provincia vallona, figlio della piccola borghesia belga, padre commerciante e madre modista, che purtroppo si suicida, annegandosi, nel 1912. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles, si forma sulla scia di Futurismo e Cubismo, Astrattismo e avanguardie dell’epoca. La sua ansia sperimentale lo porta a indagare il rapporto fra oggetto e forma, fra immagine dipinta e immagine reale, scoprendo presto l’abisso incolmabile fra linguaggio e realtà. Da giovane lavora in una fabbrica di carte da parati e si specializza poi in grafica per manifesti e pannelli pubblicitari. Da qui l’idea di una pittura costruita su moduli ripetitivi. La decorazione di una porta in una birreria di Bruxelles e il Canto d’amore di Giorgio de Chirico (datato 1914) sono gli elementi rivelatori che orientano le sue scelte estetiche. Fondamentali anche gli anni parigini (1927-30), nell’ambiente dei surrealisti francesi. Al rientro a Bruxelles, Magritte si discosta in parte dal movimento capitanato da Breton perché non riconosce nell’arte la presenza dell’inconscio, ma di un pensiero vigile e lucido, che si rivelerà in seguito una vera e propria metodologia.
In Belgio il pittore conduce una vita apparentemente modesta insieme alla moglie Georgette Berger e riprende il lavoro di pubblicitario; concepisce l’arte come attività amatoriale insieme a un gruppo di amici intellettuali e artisti (i cosiddetti surrealisti belgi), con i quali condivide una filosofia di vita ironica e scanzonata.
La prima personale in Belgio risale al 1932, ma il vero successo commerciale arriva tra la fine degli Anni Quaranta e i primi Anni Cinquanta, con una serie di incarichi pubblici (tra i quali la decorazione del soffitto del Théâtre Royal des Galeries di Bruxelles, un cielo a nuvolette bianche), la prima retrospettiva al Palais des Beaux-Arts nel 1954 e, nello stesso anno, la presenza nel padiglione del Belgio alla Biennale di Venezia.
In piena era Pop, la fama di Magritte giunge anche negli Stati Uniti grazie a un contratto in esclusiva con la galleria di Alexander Iolas, a New York, e a due grandi mostre: al Museum for Contemporary Art di Dallas e di Houston nel 1960 e al MoMA nel 1965, due anni prima della morte improvvisa avvenuta nell’agosto del 1967