Professoressa della Normale individua Dante Alighieri in un affresco pisano del Trecento
Professoressa della Normale individua Dante Alighieri in un affresco pisano del Trecento
Sembra proprio Dante Alighieri l’uomo in rosso che compare nell’affresco del pittore medievale Buonamico Buffalmacco (1262-1340 circa) sulle pareti nel Campo Santo di Pisa. Ad essersene accorta è la professoressa di Paleografia della Normale Giulia Ammannati, che ha avanzato l’ipotesi in un articolo in via di stampa sugli Annali della Scuola. Ironia massima, il Sommo compare qui tra le schiere dei dannati, in quello stesso Inferno tanto apprezzato dai suoi lettori negli ultimi sette secoli. Nella sezione del Giudizio Universale degli affreschi, realizzati tra il 1336 e il 1341, ci sono dei grandi arcangeli che spingono all’Inferno una folla di rei: tra questi, c’è un uomo vestito di rosso che somiglia molto al Dante giottesco presente nella cappella del podestà del Palazzo del Bargello di Firenze. L’ipotesi, dicono dalla Normale, non deriva però solo dalle somiglianze fisionomiche, ma “Giulia Ammannati […] la riconduce al contesto storico-politico dell’epoca, e all’aspro contrasto che opponeva Papato e Impero“.
PERCHÉ IL DANTE DELL’AFFRESCO DI BUFFALMACCO SI TROVA ALL’INFERNO?
Lo studio della professoressa Ammannati – già salita agli onori della cronaca nel 2019 per aver ricostruito i due esametri con cui Bonanno Pisano rivendicava di aver innalzato la Torre di Pisa – contestualizza il problematico ruolo di Dante nella città toscana negli anni Venti del XIV secolo. Il suo saggio politico De Monarchia, composto nel primo decennio del Trecento, suggeriva ottimi argomenti di unità territoriale ai filoimperiali proprio negli anni in cui l’arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli era stato costretto a rifugiarsi presso papa Giovanni XXII, ad Avignone, per scappare dall’invasione di Ludovico il Bavaro (che insediò in città l’antipapa Niccolò V). La visione di un’Italia unita – motivo per cui Dante piacque tanto ai risorgimentali prima, e al fascismo poi – aveva fatto infuriare gli emissari del papa avignonese, con tanto di condanna al rogo per il volume. Ecco come, influenzato dall’arcivescovo e dai domenicani della città, l’artista aveva piazzato il poeta tra i dannati eterni, con un volto del tutto simile a quello riprodotto da Giotto: Buffalmacco, fiorentino, poteva aver visto il ritratto al Bargello, oppure – ipotizza la professoressa – Dante era noto a Pisa per avervi soggiornato negli anni di Arrigo VII, dove aveva composto proprio il De Monarchia. Unica buona notizia per il Dante pisano potrebbe essere l’identità dell’uomo barbuto accanto a lui: Virgilio, “messo al bando forse anche per la sua fama medievale di mago”, spiega lo studio, “accusa che peraltro colpì lo stesso Dante negli ultimi anni della sua vita”.
Giulia Giaume